Cat Stevens, il fan della fatwa contro Rushdie

Yusuf Islam chi? Direbbe la maggior parte dei giovani cresciuti a pane e talent. E anche a molti adulti non particolarmente appassionati alla musica il nome potrebbe non dire molto. Così Yusuf ha ripreso il nome d’arte Cat Stevens – che aveva frettolosamente buttato nella pattumiera quando s’è fatto musulmano – e si presenta a Sanremo. Cat Stevens sì che se lo ricordano tutti; menestrello impegnato ma tenero che cantava Lady d’Arbanville, Father and Son, Morning Has Broken. Una colonna della canzone d’autore perbacco, ma di quarant’anni fa. Già nel 1977 aveva abbandonato la musica per cedere alle sirene dell’Islam, aveva venduto la chitarra a un’asta di beneficenza e si era messo a fare il musulmano radicale. Aveva appoggiato la «fatwa» contro Salman Rushdie… In una conferenza universitaria e in un’intervista alla Bbc, alla domanda «Rushdie deve essere ucciso?» rispose: «Sì, chi va contro la legge del Corano deve morire». Parole che lo stesso Rushdie non ha dimenticato, nonostante Stevens abbia cercato di fare marcia indietro.
Ultimamente le sue posizioni si sono ammorbidite. Ormai però la musica è passata in secondo piano. Nell’ultimo decennio ha suonato in numerose manifestazioni umanitarie e nel 2006 e 2009 ha pubblicato due nuovi album passati quasi inosservati. Perché si spendono 400mila euro (quello che, secondo indiscrezioni, sarebbe il suo cachet) per portare un tocco di revival sul palco dell’Ariston con l’ennesima versione di Peace Train, magari con il retorico pistolotto sulla pace nel mondo fatto da un personaggio poco credibile? D’accordo che per la stessa cifra gli ex Pink Floyd David Gilmour e Roger Waters hanno spernacchiato il Festival e che sir Paul McCartney chiedeva 800mila euro, ma allora, spendere per spendere, siamo all’ultima spiaggia.

Il cantante convertito all’islam dovrebbe costare 400mila euro: non c’era niente di meglio?

Antonio Lodetti

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