L’orgoglio della risata cafona del cinepanettone

Indietro di 30 anni esatti, antivigilia del Natale 1983: «Via della Spiga-Hotel Cristallo di Cortina 2 ore, 54 minuti e 27 secondi. Alboreto is nothing». A sei anni non potevi capire tutto. Oggi sì. Vacanze di Natale era un film che avrebbe dovuto riempire quei giorni, invece creò un genere e con il genere un generone e con un generone un’intera generazione di fissati. Perché quello, il primo cinepanettone, è un fenomeno di costume. L’unica nostalgia che si concedono anche gli antinostalgici. Ci sono gruppi su Facebook declinati per battute del film o per personaggi, ci sono cofanetti in dvd, c’è un sito web che raccoglie qualunque cosa su quel Vacanze di Natale, ci sono gli ascolti che fa ogni volta che Rai, Mediaset o Sky lo manda in onda, ci sono intere cene tra amici condite con gli sketch di Christian De Sica, Jerry Calà, Guido Nicheli, Stefania Sandrelli, Claudio Amendola, Karina Huff. Un mondo che s’intende con le parole in codice. Prendi «Panta». C’è sempre Nicheli, appena salito in camera con la moglie Ivana (Stefania Sandrelli) innaffiando di denaro il personale dell’albergo: «È scattata la regola numero due, giro di ricognizione del pueblo alla ricerca de los amigos. Hasta la vista. Ah, Ivana, mi raccomando il panta nell’armadio. Il pantalone bello diritto eh. Hai capito? E un po’ di ordine in stanza. See you later…».
Il panta, sì. Nella vita di ciascuno di noi fissati con quel film, c’è una citazione per qualunque cosa. Una specie di manuale del filmicamente scorretto, condito dal sapore e dal clima che quel film trasmette. Era un’Italia che sapeva ridere di più, probabilmente. Battute maschiliste, sessiste, sbagliate. Chissenefrega. Era anche l’aspirazione a modificare il proprio status. Esempio: per un ragazzino del Sud, Cortina era inarrivabile. Col suo mondo, con la sua gente, con le sue mode. La settimana bianca che oggi non si può neanche sentire pronunciare per quanto è triste, all’epoca era un punto d’arrivo. A Natale, poi, era da signori. E quel film raccontava proprio questo. C’era la famiglia di macellai di viale Marconi a Roma che, invece di andare a Ovindoli (Ovindolo, dice Mario Brega), piomba a Cortina con le sue cafonaggini. La signora della Roma bene si scandalizza e si lascia andare: «Scusa, ma se i Torpigna (i borgatari), dopo averci invaso piazza di Spagna, ci invadono anche Cortina, allora io non so, vendiamoci la casa». Ovviamente si scoprirà che la signora snob è una ex torpigna ripulita. E a svelarlo è un Christian De Sica straordinario, che arriva da New York con bellissima fidanzata al seguito, si ferma davanti a casa, la guarda e le dice: «Residenza Covelli. Secondo te, stiamo messi male? No, dico: stiamo messi molto male?». È il viziato andato all’estero che rientra in Italia, fa sfoggio di femmina e denaro, ma poi finirà a letto con il maestro di sci. Scoperto dai genitori dirà: «Apà, a te t’ha fregato il benessere. Tu facevi il capo mastro. Invece oggi c’hai i soldi e te scandalizzi. M’hai mandato in America, a New York, noi semo de Frascati. A papà e piantala… E poi, mamma gioca a Gin al circolo Canottieri e se veste da Versace? Tu metti l’orologio al polso come Gianni Agnelli? E io vado a letto co Leonardo Zartolin, perché nun se po’?».
Non si può non capire perché ci siano fan che se lo ricordano a memoria, che lo recitano, lo guardano e lo riguardano. C’era la scalata sociale, c’era la tensione al benessere, c’era la voglia di rasserenarsi, c’erano uomini che parlavano di macchine e donne, ragazze che leggevano i rotocalchi, c’era l’eterno duello Roma-Milano, c’era l’amore, c’erano le corna, c’era il calcio: «Errore, il 9 in pagella si dà solo a Falcao». «Errore tuo, io a Falcao glie dò 10».
Chi odia i Cinepanettoni per snobismo e per presunzione, non può capire. O forse non vuole. Noi lo vogliamo, noi lo guardiamo. Un orgoglio piccolo borghese che sfida una critica che già all’epoca cominciò a sminuire il valore cinematografico, sociale ed economico del genere. Christian De Sica l’ha pagata, ma semplicemente non ne conoscono il valore. Non accettano tutto ciò che questo film è riuscito a creare. Gli hanno dato letture di ogni forma e fattezza, compresa quella politica. Balle per giustificare l’odio nei confronti di un successo che non si spiegava con una forma d’arte, ma con una complicità evidente tra trama, attori e pubblico. L’ha detto Christian De Sica a Michele Masneri su Studio: «È chiaro che, drammaturgicamente, i cinepanettoni lasciano il tempo che trovano, però è anche vero che in ognuno ci sono cinque minuti fantastici (…) Quelli della mia generazione non avevano paura di far ridere, non avevamo paura di pigiare l’acceleratore sulla superficialità, sulla volgarità, sul doppio senso. Ci sono dei comici che lo fanno ancora, come Checco Zalone, e infatti fa il botto. La verità è che gli altri sono dei brillanti, non sono comici. Hanno paura di far ridere, perché non sta bene».
In Vacanze di Natale si ride. E i minuti fantastici sono più di cinque. Sono tutti. Scusate l’entusiamo, la partecipazione, il senso d’appartenenza. Ma come fai a non sentirti bene quando senti la colonna sonora: I like Chopin di Gazebo, Amore disperato di Nada, Sunshine Reggae. Il meglio di certi anni Ottanta condensati in un’ora e mezza. C’è Jerry Calà che canta una Maracaibo migliore della versione originale. C’è Karina Huff che dopo una notte di sesso con Amendola lo lascia e lo incoraggia: «Quando torni a Roma, racconta tutto ai tuoi amici. Ci tengo a fare bella figura a viale Marconi». Scorretta e reale. C’è l’ultrà Luca che guarda romanticamente la sua Serenella la notte di Capodanno, dopo mezzanotte, e le dice: «Serenè, ma secondo te dove passa il Capodanno Toninho Cerezo?… Secondo me dorme, perché è un professionista».
C’è l’Italia, ci siamo noi. Almeno quelli fatti così. Il film ebbe successo all’epoca, ma nessuno si sarebbe aspettato il seguito. L’inizio di un’era e poi l’inizio di una mania per quello, per il primo. Vacanze di Natale uno, lo chiamiamo noi. A sei anni sentivi la gente sorridere e ridere. La vedevi felice all’uscita del cinema. La videro anche gli attori. De Sica l’ha ricordato: «Erano tempi difficili per me, ancora oggi se lavoriamo è grazie a quella pellicola. Quando uscì, io la vidi in sala con il pubblico che rideva, dissi a mia moglie, “mo’ se magna”». Avrebbe potuto essere una battuta del film. Invece era solo la verità.

Vacanze di Natale inaugurava un genere detestato dai critici ma amato dal pubblico. Che si riconosceva in storie e battute…

Giuseppe De Bellis

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