Viaggi, bagni di folla, fumetti Il Disney amante dell’Italia

Dolce Italia, giardino del mondo. Dove un genio del Novecento, che con un foglio di carta e una matita creò un impero dal nulla, ebbe amici, avventure, ispirazioni. Si tratta di Walt Disney, l’uomo che ha trasformato i sogni in realtà («se puoi sognarlo, puoi farlo» era il suo motto), mantenendo col nostro Paese un legame saldo, dagli anni Trenta ai Sessanta. E furono viaggi, interviste, bagni di folla e sodalizi tutti da scoprire, mentre il personaggio più amato da generazioni di adulti e di bambini, legati ai suoi cartoni animati fiabeschi, resta al centro della scena. Sono passati 112 anni dalla nascita di zio Walt (Chicago, 1901 – Burbank, 1966), che pensiamo di conoscere come uno di famiglia, tanto la sua opera è fisicamente presente, nelle nostre case e nei cuori. Ma adesso l’interessante documentario del critico cinematografico e regista Marco Spagnoli Walt Disney e l’Italia – Una storia d’amore, svela uno scenario nuovo. Che parla di un profondo feeling tra il creatore di Topolino e la terra dove fioriscono i limoni. L’idea di mostrare l’inventore di Mickey Mouse mentre è osannato dalla folla, alla Mostra del Cinema di Venezia, o davanti al cinema Barberini di Roma; oppure durante una visita al Lingotto di Torino, nel 1961 – lui, che nel 1941, quando scioperarono i disegnatori della sua compagnia comprò una pagina di Variety per accusare i leader sindacali-, o, ancora, mentre abbraccia Luigi Pirandello -, a Spagnoli è venuta per anticipare il lancio di Saving Mr. Banks (dal 20 febbraio) di John Lee Hancock. Questo film, con Tom Hanks protagonista, starring Disney all’epoca della tormentata genesi di Mary Poppins, uno dei più grandi capolavori disneyani, narra la storia vera di come zio Walt ottenne i diritti di sfruttamento del romanzo omonimo dalla scrittrice australiana Pamela Lyndon Travers, qui un’eccellente Emma Thompson. Premiando la quale, Meryl Streep non ha potuto fare a meno di definire Disney «antisemita, misogino e bigotto» dal palco del National Board of Review. E arrivando a citare una lettera in cui Disney scriveva: «Le donne non fanno alcun lavoro creativo nella preparazione dei cartoni».
Vecchia storia, quella d’un Disney avverso a neri, ebrei, comunisti e spia dell’FBI. Una storia da rivedere, secondo Marco Spagnoli. «Per il suo antisemitismo, ci si rifà al libro di Marc Eliot Walt Disney: il principe oscuro di Hollywood, che però fu ideato per ripicca. Eliot voleva scrivere una biografia di Disney, ma questi si negò, affermando che era troppo giovane perché qualcuno scrivesse la sua storia». Tornando al docufilm, dal 10 al 12 febbraio nei circuiti The Space Extra, quindi in tv (Rai e Sky), vedremo abbondante materiale inedito di repertorio, proveniente dagli archivi dell’Istituto Luce e della Mediateca Rai. C’è Federico Fellini, che ricorda il suo viaggio in America, per l’Oscar a La Strada. Quando fu invitato a Disneyland da zio Walt, che accolse il Mago di Rimini e sua moglie Giulietta, dirigendo una banda che suonava il motivo di Gelsomina. Ecco il giornalista Carlo Mazzarella, che nel 1961 intervista il genio creativo al Giardino Zoologico di Roma, mentre Disney sgranocchia noccioline davanti alla gabbia delle scimmie e dice: «Ho sempre fatto parlare gli animali» e cita le fiabe di La Fontaine, fermandosi a parlare con tre ragazzini, salutati con un «Buongiorno. How are you?». «Perché Topolino e Minnie non si sposano mai?», chiedono loro. E lui: «Non è permesso: c’è una clausola che vieta di sposarsi e i due l’hanno firmata. Rimarranno fidanzati a vita».
Non è un caso se in Italia Topolino è il nostro giornaletto preferito (e i nostri disegnatori, da Scarpa a Bottero, i più bravi), mentre negli Usa i ragazzini l’hanno quasi dimenticato. E fu destino se nel 1934 l’italiano Amadeo Giannini, fondatore della Bank of Italy, finanziò senza fiatare il primo cortometraggio a colori Biancaneve e i sette nani, mentre i banchieri di Los Angeles chiudevano la porta in faccia a zio Walt. Nel docufilm, però, emerge un lato pop: da Scamarcio a Brizzi, da Bertolucci a Eco, ognuno confessa il proprio debito creativo a un’icona che ci amava.

Cinzia Romani
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