Febbre a Ottanta I cartoni di culto dalla tv al cinema

Che gusto ripassare la propria infanzia, con la scusa di portare i figli al cinema. Sospendere l’angustia per un paio d’ore, pargoli alla mano, scatenando il bambino assopito che è in noi. In tempo di crisi non è poco far sognare più d’una generazione, alimentando la fantasia delle nuove leve e rassicurando padri e madri adulti, ma non per questo immuni dai timori che un presente grigio spande intorno. Così è il momento dei cartoni animati su misura di chi era piccolo negli Ottanta e ha in testa certe sigle, storie precise e determinati personaggi da far conoscere alla prole. Il passaggio del testimone avviene con Capitan Harlock 3D, cartone «giap» di Shiniji Aramaki, che per questo manga di fantascienza riprende il canovaccio dell’omonimo film, scritto e illustrato nel 1976 da Leiji Matsumoto. Un’icona popolare tra i ragazzi dei Settanta-Ottanta, quella del pirata spaziale dal mantello nero. Grazie soprattutto all’anime che ne derivò e che esordì su Raidue nel 1979, con Rita Pavone pronta a inserirlo nel contenitore Buonasera a… Rita al circo. Fu un tale successo che i 25 episodi vennero trasmessi regolarmente dalla stessa rete. Da allora, il personaggio del fascinoso reietto, che si batte per riportare sulla Terra 500 miliardi di esseri umani esiliati nello spazio, si è incarnato più volte. Fino a questa rilettura interessante, che commuove i vecchi fans e fa nuovi proseliti (3.536.641 euro d’incasso), nonostante la tiepida accoglienza all’ultimo festival di Venezia. Ammantato di Materia Oscura, da cui trae origine, l’antieroe Harlock qui evidenzia il suo lato cupo e quando mostra la cicatrice sul viso, non c’è spada, né pistola a raggi laser – la «cosmic gun» – che consoli. Il bel tenebroso a bordo della nave interstellare Arcadia, ricapitola il destino dell’umanità, mentre la Terra del 2977 è un ologramma. E se il 3D toglie luminosità alle immagini spettacolari, mentre gli archeo-fans lamentano l’assenza di questo o quel soggetto, la computergrafica permette l’ingresso a un videogioco pieno di riferimenti a Star Wars. E pazienza se Yuki Key, unica ragazza della ciurma, diventa un’eroina sexy volgaruccia.
La formula «1 cartone per 2 generazioni» è applicata al suo meglio in Belle e Sébastien, film di culto per bambini di ogni età, che dal 30 gennaio siglerà un atteso ritorno. Dove già nel cast si riuniscono le generazioni: Mehdi El Glaoui, attore qui nel ruolo d’un cacciatore, è il 57enne figlio di un pascià marocchino e di Cécile Aubry, attrice e autrice parigina, che ideò le novelle del dolce cagnolone Belle, un pastore dei Pirenei e del piccolo (presunto) orfano Sébastien. Quando uscì il feuilleton omonimo, la tv francese nel ’65 ne fece una serie cult, che Boing riproporrà sui nostri teleschermi (dal 13 gennaio), però nella versione anime «giap», creata dalla MK Company nel 1981 e mandata in onda lo stesso anno su Italia Uno. La febbre segna 80, dunque, nel bel film di Nicolas Vanier, che al cinema si prende molte libertà, rispetto all’originale, arricchendolo però di implicazioni inedite. Come quella di trasporre la vicenda dell’orfanello senza amici ai tempi della seconda Guerra Mondiale, inchiodando gli adulti sulle Alpi maestose, riprese lungo tre stagioni: qui la Natura è maestra di vita. E resta nella memoria l’incipit: sul picco d’una montagna, qualcuno impallina un cervo femmina, che lascia un cucciolo troppo piccolo per sopravvivere. Un vecchio lega una corda intorno alla vita d’un bambino e, senza fiatare, lo cala nel vuoto, perché recuperi il cerbiatto. Fanno presa,poi,l’incalzante caccia a Belle, creduta «Il Diavolo Bianco», che fa strage di pecore, mentre avanza l’occupazione nazista del villaggio francese dove Sébastien (il bravo Félix Bossuet, 7 anni e mezzo) è cresciuto dal nonno. E se il classico è una garanzia, a febbraio Lucky Red fa tornare, per due giorni-evento, Dragon Ball Z: la battaglia degli dei di Masahiro Hosoda. Ancora uno storico manga per la seconda giovinezza dei sempreverdi 80.

Cinzia Romani
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