Dowtown Abbey e l’interclassismo dei sentimenti

Nella splendida cornice del maniero di Downton Abbey, nello Yorkshire, si incrociano destini e si combattono filosofie antropologiche in punta di etichetta.

Il castello è il regno del bon ton, del pomeriggio scandito dal thè, del ricevimento con valletti e maggiordomi che si prodigano per la posateria luccicante dove se il conte di Grantham si presenta in smoking fa la figura di «un gangster al barbecue». La cornice, dunque, è immobile e rassicurante, ma al suo interno va in scena l’agrodolce commedia umana (Retequattro, giovedì, ore 21,20, share del 4,01 per cento).

La Prima Guerra Mondiale è appena finita, il conte ha investito i suoi capitali in un unico titolo che ora sta crollando e la famiglia Crawley rischia di dover abbandonare la storica magione. La serie scritta da Julian Fellowes, interpretata da Elizabeth McGovern (Cora Grantham) e Maggie Smith (Violet, contessa madre), è giunta alla terza stagione collezionando record ed elogi. Le qualità di scrittura, ambientazione, recitazione sono evidenti.

Al già formidabile cast si è aggiunta Shirley MacLaine, nel ruolo della madre americana di Cora, destinata a rivaleggiare in recitazione con Maggie Smith nel godibilissimo confronto fra tradizionalismo britannico e fiducia nel progresso tipica del Nuovo Continente, dualismo che s’innesta su quello più pervadente tra padroni e domestici. Arrivano i matrimoni a scompaginare le parti: la figlia più giovane ha sposato lo chaffeur del padre e la primogenita è convolata con un lontano cugino, solo avvocato a Manchester. La storia più tenera è tra una serva e l’ex maggiordomo del conte, ora in galera per omicidio. I sentimenti sono interclassisti.

Twitter@MCaverzan

Maurizio Caverzan

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