Ora Simona Molinari seduce New York: "Altro show al Blue Note"

Lei se ne va dritta per la sua strada e non è mica facile, sapete. Simona Molinari, cantante di nazionalità jazz, ha appena riempito il Blue Note di New York, che è uno dei templi del jazz. Ci sono artisti che firmerebbero un mutuo secolare pur di suonarci, altri che non ci potrebbero suonare neanche comprandosi il locale. Era tutto esaurito, l’altra sera, atmosfera caldissima. «E il super capo del Blue Note è venuto al concerto, si è esaltato e quindi ci ritorneremo presto» dice lei, che è arrivata qui pretendendo di avere la propria band perché «il mio segreto è la squadra, una grande squadra che mi segue da quando ho iniziato». Dopotutto Simona Molinari, trentenne senza farsene accorgere, ha una voce ambrata ma guizzante, bella è bella, ha la napoletanità nel sangue e, prima di debuttare al Festival di Sanremo nel 2009, si è diplomata al Conservatorio dell’Aquila: tutte le carte in regola, quindi. Dopo aver cantato Egocentrica all’Ariston, poteva incimpare nella tentazione del physique du rôle, ramazzare gossip smutandati e ospitate ciancianti, vivacchiare sfruttando qualche petalo di notorietà. Invece ha continuato a restare una esordiente, studiando e cantando. Ovunque. A ogni costo, anzi spesso solo con costi perché non sempre le spese coprivano gli incassi. Si è cucita addosso una formula sonora, che è l’elettroswing nato da swing e musica elettronica, e solo nell’ultimo anno ha messo in fila le seguenti esperienze: in gara al Festival di Sanremo in coppia con Peter Cincotti, poi duetto con Andrea Bocelli al Teatro del Silenzio di Lajatico, e ancora Umbria Jazz e il Premio Tenco.
Poche parole, tanti fatti.
Perciò, dopo aver cantato anche al Blue Note di Tokyo, si è ritrovata in quello di New York, polveroso e buio come ogni club che si rispetti, davanti a un pubblico tutto newyorchese a parte «qualche californiano, una coppia di israeliani e tre o quattro fan italiani che mi seguono dappertutto». Prima c’era la fila all’ingresso e meno male perché «io non sapevo cosa aspettarmi ed ero terrorizzata all’idea di ritrovarmi davanti una sala vuota». Invece era strapiena e il concerto è stato più o meno identico a quello che ha girato l’Italia per tutto l’anno: un’ora e mezza con brani tipo La felicità o In cerca di te, un medley di colonne sonore di Rota, Piovani e Morricone (Mission), qualche standard in chiave elettroswing (particolarissimo La vie en rose) e quella Mr Paganini che Ella Fitzgerald incise nel 1936 e che pretende molte improvvisazioni: «Senza la sua voce e le sue canzoni forse non sarei diventata una cantante e stavolta l’ho cantata con tutto l’amore che ho».
Certo un italiana che canta jazz al Blue Note può sembrare un venditore di ghiaccio agli esquimesi: «Difatti non ho cambiato una virgola di quello che sono, non volevo fare il cosiddetto jazz acustico, ho cercato di mantenere la mia identità, tanto più che non c’era neppure Peter Cincotti perché è rimasto bloccato in Arizona da un altro concerto». In fondo, le physique du role stavolta aiuterebbe: bella voce e fascino mediterraneo. Ed è per questo che potrebbe arrivare, prima o poi ma forse più prima che poi, un disco che, alla maniera di Jovanotti, Simona Molinari inciderà espressamente per il mercato americano: «Bella ipotesi, chissà», glissa lei dopo esser scesa dal palco e prima di guardarsi indietro e pensare accidenti che anno favoloso ho vissuto.

La cantante (30 anni) celebra il suo anno d’oro con il tutto esaurito nel tempio del jazz. E intanto aumentano le richieste dall’estero…

Paolo Giordano

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