Virzì, Pif, Fabio e Litti. Sanremo diventa la Leopolda sul mare

Insomma il passo è breve. Dalla Leopolda di Renzi al Festival di Fazio c’è di mezzo il mare. Ma solo quello. In fondo Sanremo è sempre stato, dai tempi di Volare a quelli di Vado al massimo a L’essenziale, uno specchio dell’Italia non solo musicale ma pure di costume, di politica, di semplice orientamento popolare. E stavolta, ovvio, l’ombra di Renzi si è allungata anche sull’Ariston. Ci mancherebbe: si allunga ovunque, di questi tempi, e qualcuno l’altro giorno scriveva scherzosamente che gli ortopedici sono in allarme per la quantità di traumi tra chi sta tentando di salire sul carro del (potenziale) vincitore.
È l’Italia, bellezza.
E ieri Fabio Fazio, tracciando al Casino l’identikit del Festival prossimo venturo di fianco a Luciana Littizzetto e del direttore di Raiuno Giancarlo Leone, ha sostanzialmente confermato che la Leopolda sul mare, pardon Sanremo, sarà uno specchio dell’Italia che cambia. Poi uno dice che il Festival è roba del passato. Tutt’altro: è presente, accidenti quanto.
Nessun retroscena peloso, per carità. E, in attesa di guardare (e ascoltare) i risultati sul palco, nel cast c’è un fortissimo equilibrio tra esigenze pop e urgenze artistiche. C’è un progetto chiaro che ha abbattuto forse per sempre il cliché di «canzone sanremese» ossia scritta apposta per il Festival. E c’è il desiderio di frantumare le barriere tra l’Ariston e il Club Tenco, che poi sono da sempre le due facce, solo all’apparenza incompatibili, della stessa medaglia (non per nulla la sera del venerdì si chiamerà Sanremo Club). Però, certo, se le «anteprime» delle cinque serate del Festival sono affidate al bravissimo Pif (consacrato da Mtv, sempre più fucina di talenti) a quasi tutti viene in mente l’eclettico quarantaduenne in maniche di camicia che sul palco della convention di Renzi alla Leopolda ha attaccato Rosy Bindi («Ha detto di non sapere nulla di mafia») per poi rivolgersi al segretario del Pd con un papale papale «ma come minchia fa il Pd ad avere uno come Crisafulli?».
Idem per Paolo Virzì, presidente della giuria di qualità (nel quale spiccano i musicalmente ineccepibili Rocco Tanica e Paolo Jannacci di fianco ad altri nomi inattesi come Silvia Avallone). Virzì è il più renziano dei renziani, almeno a giudicare dalle sue ininterrotte esternazioni a favore. Così anche Franca Valeri, attesa e giustamente riverita, ovviamente fuori quota dall’alto della sua maestà di «signorina Snob».
In poche parole, all’Ariston andrà in scena la celebrazione pop del renzismo, lo zeitgeist renziano, in qualche modo la conferma della nuova mappa artisticopolitica che giorno dopo giorno si sta disegnando anche nel mondo dello spettacolo. È il bello di Sanremo, lo spioncino sul futuro dell’Italietta sempre in bilico tra retrocessione e promozione. E, volendo, anche gli altri ospiti, da Gino Paoli fino a Rufus Wainwright a Cat Stevens, sono parte figurata dello stesso mosaico a dimostrazione che, al di là delle derapate ironicovolgari della Littizzetto e della ormai consolidata liturgia faziosa, il format di Sanremo stavolta ha un Dna ben preciso. Poco pop inteso come esondazione di glamour fine a se stesso e gonfio di filler e luccichii. E molte canzoni/parole d’autore, nostalgia canaglia per la Rai in bianco e nero, celebrazione di una ritualità sanremese ormai così inappuntabile da essere stata sdoganata persino da salotti molto più snob della signorina Snob. Una scommessa giocata minuziosamente e vedremo come andrà a finire. A patto che almeno i microfoni dell’Ariston non siano così deliziosamente vintage come quelli usati da Renzi alla sua convention. Altrimenti sarà davvero la Leopolda sul mare.

All’Ariston specchio dell’Italia avanza l’ondata renziana Il regista presiede la giuria. Sul palco anche Franca Valeri

Paolo Giordano

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