Malattia, paura, rinascita Ritorna Beck, l’artista "condannato" al silenzio

Via, si riparte, forse manco lui se lo aspettava. Il nuovo singolo di Beck circola già sul web, si intitola Blue moon, anticipa di un mesetto il nuovo album Morning phase e battezza quello che sarà (di nuovo) un suo anno d’oro. Il ritorno. Due dischi uno di seguito all’altro. E una collaborazione, quella con Jack White, che farà parlare tutto il mondo che conta, ossia il contrario del suo, così abituato a rimanersene ai margini. Difatti non è un caso che proprio il primo verso di questa canzone confermi che «sono tanto stanco di restare da solo»: Beck è l’apologia artistica della solitudine, nonostante sia sposato da dieci anni con Marissa Ribisi (sorella di Giovanni), sia padre di Cosimo Henri e in vent’anni di carriera abbia collaborato con il bel mondo del pop rock, da Thurston Moore dei Sonic Youth a Charlotte Gainsbourg agli Air e a Bat for Lashes. Il suo biglietto da visita è il brano Loser, uscito nel 1993 ed esploso nel 1994, che è tutto tranne che un manifesto di socialità, condivisione o speranza. Un inno da nerd, si potrebbe dire. O semplicemente il decalogo (quasi) perfetto di quell’indie rock che non ha un identikit preciso, vive di profili sfuggenti e spesso compiaciuti di esserlo. Beck è quindi lo-fi, ossia si nutre di «bassa fedeltà» sonora perché i suoi dischi non godono di sovraproduzioni, non si appoggiano a massicce ricerche sonore e non si compiacciono di enfatizzare gli arrangiamenti. Anzi. Basta ascoltare il disco Sea change del 2002, clamorosamente concentrato sulle canzoni e quindi distratto su tutto il resto, suoni e produzioni comprese.
In fondo questo è l’identikit di Beck Hansen, figlio del musicista David Richard Campbell e di Bibbe Hansen, pupilla di Andy Warhol e vagabonda stilistica, nato e cresciuto a Los Angeles e inspiegabilmente innamorato di post modernità e di spazzatura pop (pop junk, non fraintendete). Beck è il trionfo dei contrasti. O forse l’apologia dell’indipendenza. Nel 1999 ha pubblicato un disco addirittura quasi ballabile, Midnite vultures, ma prima aveva collaborato con i Jon Spencer Blues Explosion e aveva prodotto addirittura i Black Flag, che sono tra i pionieri dell’hardcore punk. Insomma ha fatto tutto e il suo contrario e in questo Morning phase, che è il suo dodicesimo disco, ci sarà la sua tipica mescolanza stilistica, naturalmente di basso profilo nonostante l’entusiasmo che per forza ha innervato le registrazioni. Per Beck è la rinascita. «Sono tornato alla musica» ha detto a Rolling Stone l’altro giorno, facendo capire che mica ci sperava così tanto. «Ho avuto un danno alla colonna vertebrale e ho dovuto affrontare una lunga, lunga convalescenza» ha ammesso. In soldoni, faticava a stare in piedi e tantomeno a suonare la chitarra per lungo tempo durante i concerti. Troppo dolore. Infatti due anni fa, giusto per far sentire che c’era e non era stato piombato nel dimenticatoio, s’è inventato uno dei progetti meno prevedibili della storia del pop: venti canzoni presentate solo su spartito, niente registrazioni, niente incisioni o sovraincisioni. Giusto le note e gli accordi. Tutto stampato su di un libro, mica su master.
«Non pensiate che possa muovermi come riuscivo a fare prima, nonostante possa dare ancora molto sul palco», ha detto con una di quelle frasi più prevedibili per un ultrasettantenne che per un 43enne eclettico e inarrestabile come lui. Sarà per questo che, molto probabilmente entro l’anno pubblicherà un altro suo disco (si dice sia acustico) e che in molte canzoni di Morning phase suoni Jack White, uno che non ha certo problemi a scatenarsi. Insomma, la rinascista di Beck, del perdente Beck, si coglie anche dalle imprevedibili vampate di batteria e dal (quasi) allegro mandolino di Blue moon, che è a dirla tutta un gran brano. Il modo migliore per ritornare. Il modo perfetto per farlo se sei, come Beck, uno al centro dell’attenzione nonostante goda a rimanere sempre ai margini.

Il primo vero album dopo la grave lesione alla spina dorsale: “Non sarò più come prima, ma sul palco darò ancora molto”

Paolo Giordano

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